Visitare luoghi di cultura, come i musei o i siti archeologici, è un’esperienza che si fa da giovani, a volte perché accompagnati dai familiari, spesso durante il periodo di frequenza scolastica in continuità con tematiche e materie trattate durante le lezioni. Tale esperienza rimane nel cuore e negli interessi di molte persone e si rivela un’opportunità educativa per tutta la vita adulta, quando siamo noi a scegliere, anche sulla base dei nostri interessi personali, dove recarci e quali tipologie di musei o siti visitare. Poter fruire del patrimonio culturale significa dunque avere accesso ad un bene comune e tale aspirazione non deve essere solo riservata a coloro che vengono definiti “addetti ai lavori”, ma deve rivolgersi a tutti i potenziali interessati, considerando le differenze di età, di preparazione culturale, di capacità di partecipazione. Anche la presenza di varie disabilità contribuisce alla messa in discussione del bene comune e del diritto di avvalersene da parte delle persone che ne sono portatrici. A questo proposito la Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità (2006) fa esplicito riferimento, all’art. 9, alla necessità di garantire l’accessibilità alle strutture ai servizi offerti al pubblico, ricordandoci contemporaneamente, all’art. 30, il diritto a prendere parte alla vita culturale, ricreativa e sportiva. Un pensiero di questo tipo ribalta la visione centrata sull’individuo per spostarla sul contesto, è infatti quest’ultimo che deve attrezzarsi per accogliere tipologie diverse di pubblico, chiedendosi come può attrezzarsi per rendere le visite più interattive, stimolanti e attente alle esigenze di svariati visitatori. Si tratta di vere e proprie sfide, che portano innanzitutto a una diversa visione dello scopo dei beni pubblici che intendono condividere il compito di svolgere un ruolo attivo nella società, rimuovendo gli ostacoli che impediscono di incorporare le diversità per favorire l’uguaglianza e i diritti di tutti.