Il trattato sul cambio del denaro (dispute 396-410) del teologo spagnolo Luis de Molina (1535-1600) – ora per la prima volta in traduzione italiana – costituisce una parte di un’ampia dissertazione sui contratti contenuta nella sua opera monumentale Sulla giustizia e il diritto. Il lettore moderno, forse, potrà trovare curioso che una discussione sul cambio del denaro sia inserita in un libro di teologia morale, ma a quell’epoca la scienza economica era ancora una parte integrante dell’etica. Economia e problemi riguardanti il retto agire dell’uomo vanno dunque di pari passo. Date queste premesse, è naturale che Molina giustifichi l’attività e il guadagno dei cambiavalute. Tale pratica era divenuta talmente remunerativa che molti smettevano il commercio per dedicarsi esclusivamente ai cambi di monete. Nella seconda metà del XVI sec., infatti, l’enorme disponibilità d’argento americano, la grande diffusione di moneta coniata nonché l’ampliamento delle piazze d’affari, che ormai includevano mercati lontanissimi dall’Europa, favorirono lo sviluppo della trattatistica sulla mercatura e sui cambi del denaro, con l’intento di chiarire a commercianti e banchieri cosa fosse lecito e cosa usurario.