Una delle attività più significative per contrastare la diffusione del virus SARS-CoV-2, che provoca la malattia COVID-19, è rappresentata dalla campagna vaccinale.
Gli operatori dei centri vaccinali provengono da realtà/reparti diversi. Per buona parte non si conoscevano prima, ma la condivisione dell’obiettivo di prevenzione ha fatto sì che si sia creato un clima di grande collaborazione e reciproco rispetto, indipendentemente dalla professione e dal ruolo gerarchico.
La cosa che ha colpito di più gli autori del presente testo è il fatto che la maggior parte di queste persone non conoscano il volto di chi gli sta vicino e che si sia creata una nuova “gerarchia di identificazione”, basata sui gesti, sull’accento della voce, sull’acconciatura dei capelli (in alcuni casi sulla mancanza di qualsivoglia possibile acconciatura) e, elemento principale: gli occhi.
La prima cosa che si cerca in una persona è il viso, ma in questa situazione è impossibile, e quando capita di vedere per la prima volta un operatore del Centro senza mascherina, talvolta si resta completamente spiazzati, quasi come si fosse di fronte ad una persona sconosciuta, completamente diversa da quella che ci eravamo mentalmente raffigurati, come i bimbi che non riconoscono più il padre che si è tagliato la barba. Quando questa lotta al virus sarà finita la maggior parte di noi si cercherà guardandosi negli occhi, cercando di isolare dalla propria percezione la parte restante del volto. E proprio dagli occhi siamo partiti per creare un momento che ci identificasse, che ci unisse nel riconoscerci mentre indossiamo con fatica, per tutta la giornata le mascherine filtranti.
Questi occhi trasmettono determinazione, gioia, malinconia, stanchezza e, perché no, tristezza per il tempo passato. Il tutto come percezione soggettiva ovviamente, ma si è creata quasi una modalità di lettura, come se in quegli occhi fosse scritta una storia che noi ora, osservandoli, abbiamo imparato a leggere.